Un’altra metà del cielo
Lacan e l’omosessualità femminile
di Amalia Mele
anno: 2020
Editore: Associazione lacaniana internazionale Milano
Il caso della giovane omosessuale è una pietra angolare nella clinica dell’omosessualità femminile [1]. Lacan parla della giovane omosessuale sino al 1968, anno del Seminario XV L’atto analitico dove affronta la questione dell’inconscio menzognero a proposito dei sogni riferiti dalla giovane paziente. Poi si perdono le tracce di questo caso clinico caratterizzato dal confronto fra due padri. Un padre che contrariamente a Freud soffre su un piano della sua reputazione sociale dell’omosessualità della figlia, o dichiara di soffrirne e si comporta come se fosse vero, e Freud che, al contrario, proprio negli stessi anni non sembra preoccuparsene troppo. Anna, che si dedicherà tutta la vita al padre, diventerà il primo presidente dell’IPA, con un’accettazione sociale e semipubblica della sua scelta sessuale.
Secondo alcuni autori la psicoanalisi ha contribuito allo spostamento del discorso sull’omosessualità nella civilizzazione. Seguendo la letteratura psicoanalitica dall’insegnamento di Freud sino ai nostri giorni, osserviamo però che la produzione saggistica sull’omosessualità femminile è povera. Riferimenti a questo tema oltre a quelli di Freud e Lacan sono rari. L’omosessualità femminile è in generale più discreta, meno esposta al pubblico, ma è un fenomeno costante attraverso le epoche.
Ci sono nella contemporaneità nuove teorie sull’omosessualità femminile, anche perché sembra aumentata la domanda di cura delle donne omosessuali. Abbiamo riflessioni e voci raccolte dalla pratica e dall’esperienza psicoanalitica, che non si riducono a caso clinico né si esauriscono nell’illustrazione di un punto di vista teorico, ma lasciano intendere degli sviluppi a venire.
L’omosessualità femminile è declinata al plurale e separata da quella maschile nel discorso psicoanalitico stesso. Il cambiamento in rapporto all’omosessualità femminile nel sociale si riflette a sua volta in un cambiamento nella letteratura psicoanalitica stessa. Il declino del nome del padre oltre che sui sintomi ha influenza sulla produzione psicoanalitica, se si può osservare una messa in valore della femminilità; è quello che si è definito la femminilizzazione della psicoanalisi.
Nel caso della giovane omosessuale Freud suggerisce per la prima volta la necessità di una direzione della cura da parte di un’analista donna. Una posizione che grazie al caso della giovane omosessuale, precorre di anni l’invito alle analiste donne di dire la loro sulle questioni della sessualità femminile.
Sarà forse il tratto del caso, la sfida, che spingerà Freud a tener conto delle ricadute di questa posizione di challenger, di sfidante della paziente e della sua difficoltà a fidarsi del maschile. Forse lo psicoanalista viennese aveva afferrato questo aspetto di struttura della giovane omossessuale e non voleva semplicemente “lasciarla cadere”, come osserva Lacan nel suo commento al caso. Il transfert nell’omosessualità femminile, forse per la questione più rilevante dell’amore, potrebbe spiegare questo stare bene psichicamente con una donna e sembra rispondere all’enunciato di Lacan riportato nella lezione del 13 marzo 73 del S XX Ancora «l’âme aime l’âme», «l’anima a(ni)ma l’anima» [2]. Le donne dice Lacan sono «animainnamorate [3], nel senso di a(ni)mare l’anima [4]». Aggiunge più avanti che il fuori sesso di questa etica è manifesto. Fintantoché infatti l’anima a(ni)ma l’anima non c’è coinvolgimento sessuale. In questo tipo di relazione l’amore e l’eventuale transitivismo occupano un posto molto più grande del compimento sessuale.
Questo tipo di relazione può esistere nelle donne poiché loro sono âmoureuses, cioè amano l’anima. In realtà Lacan in quel passo del S XX si sta riferendo all’uomosessualità dell’isterica, al fare uomo dell’isterica, dicendo che l’isterica ama l’anima del suo partner o piuttosto ama un uomo che ha un’anima che gli permette di avere pazienza e coraggio nel tener testa all’intollerabile del suo essere. Lacan osserva che questi uomini sono per lo più dei maîtres. Nell’omosessualità femminile questo enunciato «l’âme aime l’âme» potrebbe declinarsi come un’isteria «in senso largo» o trattarsi di una modalità d’amare particolare? Possiamo considerare l’omosessualità femminile «un’isteria in senso largo», come sfida indirizzata al padre e all’ordine fallico? Nel caso della giovane omosessuale il terreno di sfida con il padre è proprio sul come si ama una donna. Così attraverso l’amore, che è uno dei discorsi per eccellenza, la ragazza si articola al grande Altro sostituendosi al discorso del padre. L’uscita dall’Edipo e il discorso del padre si caratterizzano per l’enunciato: «Un giorno avrai un bambino da me». Un enunciato che continua a circolare anche nei sogni della paziente, considerati menzogneri da Freud ma che esprimono al contrario il suo desiderio inconscio di avere un marito e dei figli.
L’Edipo resta un tragitto molto sinuoso e affilato per una ragazza, con un’entrata ma senza una vera uscita che conduca all’assunzione definitiva del suo essere sessuato. Il caso della giovane omosessuale ha il merito di sollevare il pregiudizio che consisteva nel presupporre un’omologia di sviluppo della bambina e del bambino, rimettendo così in cantiere la teorizzazione dell’Edipo. Che non sia la stessa cosa l’Edipo, il Super-io, il tempo di latenza nel bambino e nella bambina è una questione che comincia a porsi a partire da questo caso. Vi è dunque un’onestà intellettuale di Freud nell’appello alle analiste donne sulla questione dell’Edipo femminile, che rovescia l’idea della psicoanalisi come il prodotto di un genio maschile.
Nella contemporaneità si osserva che ci sono donne che diventano omosessuali oltre a quelle che lo erano già o sapevano di esserlo da sempre. Sono donne che nella maturità, e dopo aver vissuto con uomini, a partire da una rottura soggettiva vengono attratte da una donna. Bisogna difatti oramai interrogare l’omosessualità femminile senza pensarla solo in termini d’identificazione. L’omosessualità non sarebbe più riducibile alle due grandi questioni che centravano l’omosessualità femminile nel rapporto con il padre.
– Il tema della delusione, della frustrazione ricevuta dal padre, tesi di Freud a proposito della giovane omosessuale.
– L’amore particolarmente intenso per il padre, la père-version alla base dell’omosessualità di Anna Freud.
A differenza dell’isteria che si declina in Freud in più di un caso clinico, abbiamo per l’omosessualità femminile un solo caso. Sappiamo che Freud non dà un nome alla paziente del caso clinico pubblicato sotto il titolo di Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile [5]. Psicogenesi è difatti un titolo poco evocativo che dà l’idea di un lavoro un po’anonimo e impersonale e distaccato quale non è, perché Freud restituisce un’immagine complessa e vivida della persona e della relazione con lei. Sarà proprio Lacan a rinominare la paziente come la giovane omosessuale mentre Freud parla solo della ragazza. Il perché del titolo Psicogenesi si comprende solo après coup con la «buffa metafora», definizione utilizzata da Lacan a proposito dell’immagine del viaggio che Freud utilizza per descrivere il processo di analisi con la paziente; metafora, quella del viaggio, che coglie lo scarto esistente nella cura tra il comprendere e il trasformare del processo analitico. Forse il fatto che non considerasse nevrotica la paziente, porta Freud a non individuare il suo sesto caso clinico nella giovane omosessuale, finendo per considerare il suo lavoro di stesura solo in termini di osservazioni.
Freud comincia il saggio del ’20 ponendo due osservazioni. L’omosessualità femminile, sebbene altrettanto frequente di quella maschile, «non solo è stata ignorata dalla legge [6], ma è anche trascurata dalla ricerca psicoanalitica».
Questa riflessione di Freud introduce forse a una distinzione dove godimento e amore occupano posti diversi nell’omosessualità femminile e maschile? Sappiamo che sia in Freud che in Lacan si parla dell’amore come di qualcosa che tiene insieme e fa legame. L’amore supplisce all’assenza di un autentico legame sociale, come Freud mostra in Psicologia delle masse e analisi dell’io, a proposito dei meccanismi d’identificazione, o all’assenza di rapporto sessuale che Lacan indica con la formula «non c’è rapporto sessuale».
Lo psicoanalista francese, che nel seminario Ancora si lamenta del fatto che le donne non parlano, rende lì omaggio alle Preziose per quello che hanno fatto passare nella cultura e nella lingua. Le Preziose fu un movimento di donne letterate, per lo più nobili, del XVII secolo, che volevano abbellire e arricchire la lingua francese. Lacan le ricorda anche nel Seminario III Le psicosi a proposito della parola che manca. Il movimento delle Preziose, invece di lavorare nel senso della dispersione, o della riduzione del legame sociale, va in senso contrario, perché veicola delle informazioni che sostengono il legame sociale, aggiungendo e cercando parole. Le Preziose sono la prova, rispetto all’idea di Freud della donna come fondamentalmente antisociale, di una corrente inversa alla dispersione o alla riduzione del legame sociale. Esse rappresentano anzi il riferimento maggiore che si può trovare nella cultura a un legame sociale di sapere intorno alla donna e intorno all’amore, e dunque in qualche modo il loro lavoro prosegue secondo alcuni la tradizione dell’amor cortese.
Può essere utile cominciare col porre al confronto i due casi clinici freudiani di Dora e della giovane omosessuale, pietre angolari per la clinica del femminile [7]. Ricordiamo che nella nota al Proscritto di Freud al caso di Dora, Freud parla di omosessualità come tendenza psichica inconscia che sia in quel caso specifico sia nell’isteria in generale non approda a una scelta sessuale. Nel Proscritto Freud confessa di non aver tenuto conto della corrente omosessuale inconscia che legava Dora alla signora K, che non rappresentava necessariamente la possibilità di una scelta meramente omosessuale. La signora K era al contrario la questione di Dora, possedendo le chiavi dell’enigma della femminilità, in quanto luogo dove interrogare il suo mistero.
L’omosessualità resta dunque una scelta inconscia per Dora, ma sarà una direzione decisa, cosciente e agita nella giovane omosessuale.
Nell’isteria viene in primo piano la questione dell’Altra donna che rappresenta per l’isterica il luogo di sapere sulla femminilità. Dora identificata al padre e al signor K., qualificati da Lacan come uomini di paglia, scorge nella signora K la possibilità di porre la sua questione: cosa vuole una donna? La sua identificazione al maschile non risponde alla questione cosa vuole una donna ma evita l’omosessualità. Una corrente omosessuale “transitoria” sarebbe stata forse per lei importante per lasciar cadere le sue identificazioni maschili. Al contrario la giovane omosessuale nel confronto con il padre non fa mistero del suo amore e del suo desiderio per una donna. È in posizione di challenger, di avversario, di sfidante. La sfida è difatti il tratto del caso: quella lanciata al padre e quella lanciata alla psicoanalisi. Solo lei in quanto donna può amare e desiderare una donna come si conviene, rivendicando il possesso di un sapere sull’amore. La ragazza fa la corte alla sua amata secondo il modello del servizio d’amore, senza intrattenere una relazione carnale, secondo un’immagine dell’amor cortese, attendendo per ore la sua signora nei paraggi della sua abitazione, senza ricevere in risposta che la sua freddezza. La sua identificazione, contrariamente a quanto avviene per Dora, non è al maschile. Lei si misura difatti con l’Altro sesso e non con l’Altra donna. Dora resta uomosessuale per dirla con il Lacan di Ancora. Lei è eteros e questo aspetto di partenza non dipende dal sesso.
L’omosessualità femminile a partire dagli anni ’70 riceve difatti da Lacan una lettura nuova. Nell’Étourdit lo psicoanalista francese afferma che un eterosessuale è colui che ama la donna quale che sia il proprio sesso: «Quello che si chiama il sesso (anzi il secondo sesso, quando si tratta di una stupida) è per l’esattezza l’Eteros, che non può estinguersi in nessun universo, dato che si regge sul non-tutta. Per definizione diciamo eterosessuale quello che ama le donne, qualunque sia il suo sesso. Così sarà più chiaro. Ho detto amare, e non già: essere loro promessi per un rapporto che non c’è. È proprio questo che implica l’insaziabilità dell’amore, il quale si spiega con questa premessa» [8].
Sono posizioni che mettono fuori asse l’immaginario legato al rapporto tra sessi e le relazioni di tipo omosessuale. L’omosessualità femminile che in diritti e uguaglianza si collocherebbe alla pari dell’omosessualità maschile, viene inevitabilmente posizionata nell’eterosessualità. Si potrebbe pensare che amare le donne da parte di una donna sia una riproposizione dell’identificazione al padre immaginario. Però Lacan sembra dire negli anni ’70 che il legame che può unire una donna a un’altra è una questione aperta. Non è detto che si debbano posizionare le donne che amano le donne sotto la bandiera univoca dell’omosessualità. La logica dell’eteros non è una logica della femminilizzazione ma una logica dell’Altro. Qui è in gioco un amare le donne dal lato maschile e dal lato femminile. Lacan sta parlando dell’amare le donne non del desiderarle, cosa che presuppone il fantasma e la fallicizzazione dell’oggetto. Amare le donne dal lato femminile per una donna partecipa della sua femminilità. La donna viene a occupare un luogo Altro dove sarà Altra a se stessa. In questo luogo non c’è un tratto fornito d’identificazione, si tratta d’amare per fare legame dunque essere coinvolto, coinvolgersi nell’Altro. Un neologismo che potrebbe coincidere con se mêmer, essere coinvolto, coinvolgersi nell’Altro, verbo che si fabbrica con même e permette di evitare il verbo s’identifier, identificarsi che regge al contrario la scelta isterica. Si tratta di amare per fare legame, costruire un legame sociale per fronteggiare le avarie della vita. Marie Charlotte Cadeau [9] osserva che questo tipo di omosessualità non di struttura è una scoperta tardiva per molte donne, anche dopo lunghe relazioni di tipo eterosessuale e che si configura come uno stare bene psichicamente con una donna. Anche nel S XX Ancora Lacan sottolinea che le donne omosessuali amano l’altro sesso, per catturare un godimento Altro, Altro che quello di un oggetto che fa fallire il rapporto desiderato con questo Altro, che sono dunque eterorientate. Freud stesso considerava che è molto più facile rendere conto dell’omosessualità che dell’eterosessualità. Le relazioni uomo-donna prevedono spesso la possibilità di rigetti reciproci, perché la divaricazione tra sessi è legata al significante fallico. «Non c’è rapporto sessuale», è la ricaduta tardiva degli anni ’70 dell’affermazione di Lacan degli anni ’50 riguardo al significante fallico: La donna non è senza esserlo, l’uomo non è senza averlo. È una ripartizione ineguale tra sessi che non assicura affatto l’uguaglianza nella valenza fallica. Avere/essere il fallo è una cosa differente. Essere il fallo suppone in effetti lo sguardo dell’Altro e una possibile destituzione. Lacan sottolineerà negli anni ‘70 l’assenza d’isomorfia nella struttura tra uomo e donna con il suo La donna non esiste, che rende impossibile inscrivere la donna nell’universale. Al contrario della volontà d’inscrivere la donna nella simmetria di diritti e godimenti sostenuta dai movimenti femministi degli anni ‘70, la nozione lacaniana di pas-tout, di non tutta, introduce l’asimmetria nella sessuazione.
Sono questi riferimenti agli anni’ 70 che potrebbero leggere après coup i Seminari precedenti dedicati al caso della giovane omosessuale, il Seminario IV La relazione d’oggetto e il Seminario X L’angoscia.
Se Freud resta legato a una lettura del caso orientata per delle coordinate edipiche, Lacan farà un passo in più superando questa analisi centrata sull’asse immaginario e introducendo nel Seminario IV La relazione d’oggetto la questione dell’amore e del feticcio. Nella giovane omosessuale, c’è una cornice di amore idealizzato che rende possibile annullare la mancanza, e fare della sua castrazione un dono a partire da un aspetto particolare. Nel rapporto con la dama non è solo lei che manca e dona ciò che non ha, mettendosi al posto del padre che avrebbe dovuto donarle la mancanza, ma anche la dama non ha rispetto alla madre: non ha bambini e non ha alcuna posizione sociale. Ciò che non ha la porta a legarsi a un oggetto il quale non ha, al quale bisogna necessariamente che ella dia quel qualcosa che esso non ha. Lacan osserva che vi è in questo tipo di relazione la necessità d’imperniare l’amore non sull’oggetto ma su ciò che l’oggetto non ha. Un aspetto che ci pone al cuore della relazione amorosa e del dono. Non c’è dono possibile, più grande segno d’amore, più grande del dono di ciò che non si ha.
Lacan dice inoltre che la relazione della ragazza con la signora è marcata dal fatto che è articolata in maniera latente con il grande Altro. C’è un’articolazione nell’omosessualità femminile con il grande Altro. Lei dona quello che non ha mettendosi al posto del padre, donando il fallo immaginario. Il fallo prende poi per lei in questa storia il valore di significante dell’amore.
Non si tratta più di passare per delle identificazioni, ma questa articolazione è a prezzo del suo sacrificio personale; è lei a farsi supporto con il suo sacrificio di ciò che manca al grande Altro. È amante ma tuttavia non chiede di essere ricambiata. Non si tratta più di ricevere l’amore del padre, ma ciò che viene in primo piano è il suo interesse per la femminilità. Il fallo immaginario che entra in gioco inizialmente, quando si mette al posto del padre, si riveste del significante dell’amore, si positivizza e diventa un fallo simbolico. Lei fa una crociata per elevare la dignità di questa donna, a La donna che per dirla con il Lacan degli anni ’70 non esiste, perché non esiste un’essenza della donna, della femminilità. Fare una crociata per La donna mostra forse qui un tratto di perversione; questo inno alla donna, alla diva, è difatti la negazione della mancanza. Il lavoro che fa per rendere possibile La donna è una smentita della castrazione? Freud non diagnostica questo caso del 1920 come perversione. Lacan dal canto suo analizza molto lo scenario creato dalla paziente, la sua mostrazione, la questione del dono, l’acting out e il passaggio all’atto, senza soffermarsi molto sulla diagnosi di perversione.
«È un amore che non chiede nessun altro soddisfacimento se non il servizio della signora. È veramente l’amore sacro, se così si può dire, o l’amor cortese in quel che ha di più devoto. Vi aggiunge alcuni termini come quello di Schwärmerei, che ha un senso molto particolare nella storia culturale della Germania: è l’esaltazione che fonda la relazione. Insomma, situa il rapporto con la signora al più alto grado della relazione amorosa simbolizzata, posta come servizio, come istituzione, come riferimento. Non è solo un’attrazione subita o un bisogno, ma è un amore che, in sé, non solo fa a meno dei soddisfacimenti, ma mira precisamente al non-soddisfacimento. È l’ordine stesso in cui può dispiegarsi un amore ideale – l’istituzione della mancanza nella relazione con l’oggetto» [10].
Questa donna a cui la giovane omosessuale s’interessa rinunciando a tutto viene a occupare per lei il posto del fallo. Non si aspetta da lei nessun favore se non consacrarsi a lei completamente. Rinuncia al fatto di farsi lei stessa l’oggetto che potrebbe causare il desiderio dell’altro. Non si vuole amata, si vuole amante. Questo fallo di cui il padre la priva va a realizzarlo nella sua signora e tutto il suo comportamento consiste nel circondarla di manifestazioni che mostrano che per lei è nella signora che il fallo si situa. Malgrado la signora venga a rappresentare per lei il fallo, quest’ultimo è in una posizione di fallo reale e non simbolico. In due situazioni di acting-out il fallo viene presentificato allo stesso modo e non si può che considerare come reale. Sia nel caso del bambino che a 13 anni spupazza insistentemente, sia nell’adorazione della signora, si tratta di fallo reale e non di quel fallo simbolico che organizza il mondo del significante e il desiderio di ogni soggetto.
Ciò che incontra la giovane omosessuale nel faccia a faccia con la signora è l’amore. Un amore non con un piccolo altro nel cui scambio può nutrirsi, ma un amore che non si aspetta niente dall’Altro, se non che accetti di lasciarsi amare, che accetti di ricevere ciò che lei le dona in maniera estenuante. Più che amore si tratta di venerazione e di culto; è per questo che la dama occupa la posizione di fallo. La passione per la signora è senza alcuna esigenza, senza desiderio, senza speranza nemmeno di ritorno.
«L’amore che la ragazza vota alla signora mira a qualcosa d’altro da lei. L’amore che vive puramente e semplicemente nell’ordine della dedizione e che porta al grado supremo l’attaccamento del soggetto e il suo annientamento nella Sexualüberschätzung, Freud sembra riservarlo, e non a caso, al registro dell’esperienza maschile. Un amore simile, in effetti, si dispiega di solito in una relazione culturale molto elaborata e istituzionalizzata. Il riflettersi della delusione fondamentale a questo livello, il suo passaggio sul piano dell’amor cortese, lo sblocco che il soggetto trova in questo registro amoroso pongono la questione di sapere che cosa, nella donna, è amato al di là di lei, e questo mette in causa quello che è veramente fondamentale in tutto ciò che è relativo all’amore nel suo compimento.
Quel che è, propriamente parlando, desiderato nella donna amata è appunto quello che le manca. E quello che le manca, in questo caso, è appunto quell’oggetto primordiale di cui il soggetto andava a cercare nel bambino l’equivalente, il sostituto immaginario, e a cui fa ritorno.
All’estremo dell’amore, nell’amore più idealizzato, ciò che è cercato nella donna è quello che le manca. Ciò che è cercato, al di là di lei, è l’oggetto centrale di tutta l’economia libidica: il fallo» [11].
Ma come si differenzia l’amore della giovane omossessuale dall’amor cortese dei poeti? La persona – osserva Lacan nel Seminario VII L’etica della psicoanalisi – viene trasformata in una funzione simbolica nella poesia cortese: «Non si parla mai d’amore in termini così crudi come quando la persona è trasformata in una funzione simbolica» [12]. Si tratta di raggiungere l’Altro e renderlo non mancante. La giovane omosessuale non riesce a trasformare la sua signora in una funzione simbolica. Lacan osserva nel Seminario L’etica della psicoanalisi, che Dante può prendere Beatrice realmente esistita e farla equivalere alla filosofia, e alla fine alla teologia, può trasformarla in un’allegoria nonostante l’invocazione della sua poesia mantenga un tono sensuale. Nel Seminario VII L’etica della psicoanalisi l’amor cortese rappresenta la forma più paradigmatica di sublimazione. Lacan si sposta dall’aspetto idealizzato della sublimazione trasferendo su un altro piano rispetto a Freud la questione. Non si tratta più della sublimazione come un meccanismo di difesa dell’io per arginare un aspetto sessuale. L’amor cortese è uno dei modi con cui Lacan tratta della sublimazione per avvicinare il vuoto del reale, per avere rapporto con il vuoto del reale. La sublimazione nell’Etica è affrontata con contributi eterogenei [13], con esempi non presi alla lettera ma usati in senso metaforico, senza mai dire l’ultima parola sulla questione. E la donna nell’amor cortese per la sua irraggiungibilità può essere paragonata a das Ding, si candida a diventare il supporto di das Ding ovvero «quel che, del reale primordiale, diciamo, patisce del significante» [14]. La lezione del SVII dal titolo estremamente esemplificativo, L’amor cortese a mo’ di anamorfosi, ci presenta il fenomeno dell’anamorfosi, quell’illusione che si viene a generare quando non ci accorgiamo di una certa rappresentazione e poi la scorgiamo all’improvviso, come nel quadro di Holbein Gli ambasciatori. Nell’arte possiamo cogliere la Cosa attraverso un oggetto perché difatti nella sublimazione non si tratta di rimozione, e vi è dunque un principio del piacere.
Attraverso una lettura del caso della giovane omosessuale filtrata dal seminario L’etica della psicoanalisi, si può avanzare che il fallo può essere inteso nei termini di un’anamorfosi. Lacan osserva nella lezione X del seminario, Piccoli commenti a margine, che mettendo a confronto una certa immagine con un cilindro levigato che fa da specchio, per anamorfosi l’immagine si eleva, c’è quasi un’erezione dell’immagine. Quello che appare nell’oggetto come Cosa si deve dunque al fenomeno dell’anamorfosi. Allo stesso modo la donna deve lasciar balenare per la nostra giovane omosessuale il fallo. La donna è tra l’altro – come ci ricorda Lacan nell’Etica – appellata al maschile dai poeti dell’amor cortese con l’espressione Mi Dom [15], ossia mio signore. Forse si può parlare di godimento fallico per i poeti dell’amor cortese così come per la giovane omosessuale? Potrebbe esserci per lei un tentativo di supplenza fallica nella mostrazione, nella Schwärmerei, nell’acting-out che ripropongono il culto e la venerazione dell’oggetto? In questa ottica si può parlare per lei di amor cortese come operazione che fa balenare per anamorfosi il fallo, l’assoluto? In questa accezione si vede comparire nel Seminario La relazione d’oggetto la coppia perversione-amor cortese, allo stesso modo che nel Seminario L’etica della psicoanalisi si declina il binomio perversione-sublimazione. Lacan non parla mai nel Seminario IV La relazione d’oggetto di perversione come scelta oggettuale, ma lascia intendere le impasses del desiderio come recita il titolo scelto da Miller, Le vie perverse del desiderio, per la sezione del Seminario che tratta del caso della giovane omosessuale. L’operazione compiuta dalla paziente attraverso il dono d’amore è quello di riprodurre un discorso che faccia esistere il dono simbolico che doveva ricevere dal padre. I suoi sogni nel riprodurre l’enunciato inconscio un giorno avrai un bambino da me, non erano dunque menzogneri nell’invocare il matrimonio con un uomo e dei figli.
Se il fallo come anamorfosi è fatto esistere come tentativo di supplenza fallica all’Edipo, assumendo le sembianze della Cosa, l’oggetto piccolo a è per la nostra paziente un altro.
La questione dell’oggetto piccolo a sorge con la questione dell’oggetto sguardo e avrà un ruolo importante nella comprensione del suo passaggio all’atto suicidario. Il Seminario X L’angoscia dedica delle pagine importanti a questo aspetto del caso clinico.
«La ragazza, in compagnia della sua beneamata, incontra il padre che sta andando in ufficio. Costui le getta uno sguardo irritato (c. m.). La scena si svolge, allora, molto rapidamente. La persona amata – per la quale probabilmente quell’avventura è solo uno svago abbastanza astruso, che comincia manifestatamente ad averne abbastanza e non vuole correre il rischio di avere seri problemi – dice alla ragazza che la faccenda è durata abbastanza, che ormai ci si può fermare lì, che la smetta di inviarle fiori a non finire tutti i giorni e di starle appiccicata addosso. Dopodiché la ragazza si getta immediatamente giù da un ponte» [16].
A proposito di questo passaggio all’atto Lacan prende qui le distanze da una sua precedente lettura, nella quale situava il gesto della giovane omosessuale come un atto simbolico che esprimeva quel significato di parto[17] che Freud mette esplicitamente in gioco nella sua interpretazione, secondo la quale il tentativo di suicidio di lei voleva in realtà essere una punizione e nello stesso tempo il compimento di un desiderio, quello di avere un bambino dal padre o di provocare un aborto nella madre. In questo ultimo caso nel cadere giù, niederkommen, la ragazza uccideva secondo Freud l’odiato bambino ma anche le capacità generative materne nonché le proprie. Questa seconda linea di lettura è suggerita allo psicoanalista viennese dall’atteggiamento della paziente in analisi, dal suo attacco abortivo alla terapia. Nel gennaio del 1963 Lacan interpreta diversamente il gesto della giovane omosessuale. Non si tratta più di riferire questo passaggio all’atto a un fantasma di parto né di cercare di capire il senso del gesto. Come osserva Allouch [18] si tratta di stabilire le coordinate dottrinali di un fatto di struttura, cioè l’impossibilità come tale di un rapporto repentino del soggetto con l’oggetto piccolo a, con lo sguardo furioso del padre, uno sguardo lanciato dal padre un po’ come un proiettile, a cui fa seguito il respingimento della sua amata.
«Non basta ricordare l’analogia con il parto per esaurire il senso di questo termine. Il niederkommen è essenziale a qualsiasi improvvisa messa in rapporto del soggetto con ciò che esso è in quanto a. Non per niente il soggetto melanconico ha una simile propensione a lanciarsi dalla finestra, sempre portata a compimento con una rapidità folgorante, sconcertante. In effetti la finestra, in quanto ci ricorda il limite tra la scena e il mondo [19], ci indica che cosa significa questo atto – in un certo senso il soggetto fa ritorno all’esclusione fondamentale in cui esso sente di trovarsi. Il salto si realizza nel momento stesso in cui si compie – in quell’assoluto di un soggetto di cui solo noi analisti possiamo avere un’idea – la congiunzione fra il desiderio e la legge. È propriamente quel che succede nel momento dell’incontro della coppia formata dalla cavaliera di Lesbo e dal suo oggetto kareniniano, se così posso esprimermi, con il padre».
Freud aveva considerato il passaggio all’atto della giovane omosessuale come un serio tentativo di suicidio, ripetendo nel caso per ben due volte questa valutazione clinica. L’acting out s’indirizzava allo sguardo irritato del padre come il passaggio all’atto, ma se ne differenzia per alcuni aspetti di struttura. L’acting-out in quanto provocazione al padre, giocava con il suo sguardo, implicava un mostrare/nascondere, un velare/svelare. La figlia passeggiava con la sua dama, nelle vicinanze dell’ufficio del padre, flirtava con l’incontro possibile dello sguardo del padre, giocava a farsi paura con lo sguardo del padre. Lacan osserva nel Seminario IV che la ragazza ha un’attitudine al «dolce flirt» con il pericolo e gioca a invocare questo sguardo per farsi paura. La fase della mostrazione è una rêverie, un sogno a occhi aperti, nella quale può guardarsi guardata dal padre. Ma poi questo incontro diventa reale, la paziente incrocia realmente questo sguardo definito furioso, irritato. Non si tratta ora più di un gioco di mostrare/nascondere, ma di qualcosa che è bello in vista: si tratta dell’istante dello sguardo siglato come sguardo irritato. Il padre non è un analista e non potrebbe offrire alla figlia uno sguardo che non vede niente, uno sguardo vuoto. Se per assurdo potesse essere così, forse quello sguardo poteva essere da lei assunto come suo, mentre invece si sente oggettivata da questo sguardo. Nel Seminario XI I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, in un breve passaggio, Lacan è ancora più netto nel lasciar percepire il circuito pulsionale messo in opera dallo sguardo.
«Non è perché il padre la delude che la giovane malata di Freud, detta l’omosessuale, diventa omosessuale – avrebbe potuto prendersi un amante. Ogni volta che siamo nella dialettica della pulsione qualcos’altro comanda. La dialettica della pulsione si distingue fondamentalmente da ciò che è dell’ordine dell’amore come pure da quello che è dell’ordine del bene del soggetto» [20].
Quando si mette in moto la pulsione qualcosa porta verso l’oggetto piccolo a. Il giro della pulsione, l’ansa della pulsione circoscrive il vuoto dell’oggetto piccolo a. Quando la ragazza passeggia sotto l’ufficio del padre facendo dei giri, la pulsione comincia a girare intorno a questo sguardo con cui finge di farsi paura. Possiamo parlare di giri della pulsione scopica in cui il soggetto flirta con l’incontro possibile con lo sguardo del padre. Come osserva Lacan quando entra in gioco la pulsione il bene del soggetto non c’entra più. Cade il discorso della messa in scena dell’amore, che era stato un elemento così importante sino a questo momento, con il suo aspetto particolare di feticismo dell’amore, così differente dal feticismo freudiano legato all’esperienza traumatica della differenza sessuale. Compare al contrario una deriva pulsionale che la spinge a girare in tondo per cercare qualcosa. Perché l’incontro con lo sguardo furioso del padre la spinge a buttarsi giù? L’avventura con la Dama ha valore di acting out. S’indirizza all’Altro e ne richiede l’interpretazione. Sfida il padre e lo forza a vederla. Si fa vedere dall’uomo lasciandogli vedere ciò che non ha, ma quando passa all’atto buttandosi dal parapetto, è al di là dell’auspicio di farsi vedere. Il passaggio all’atto interviene come soluzione a questa messa in rapporto, a questo confronto diretto, frontale, della scena dell’amore (la figlia che corteggia la dama) con lo sguardo furioso del padre. Vi è una necessità assoluta e imperativa che cessi questa messa in rapporto. È un cortocircuito che si crea tra qualcosa che viene fatto esistere per la via dell’amore, questo assoluto, F, il fallo simbolico, ciò che nega la mancanza nell’Altro, e l’oggetto piccolo a che è ciò non si può rappresentare, ciò che è per sempre perduto.
La figlia avrebbe anche potuto svenire o semplicemente vergognarsi nell’incontro con lo sguardo furioso del padre. Non è questo che accade. In effetti ciò che entra in rapporto nel passaggio all’atto è F e l’oggetto piccolo a.
Nel Seminario X, qualche pagina prima, lo psicoanalista francese si era interrogato se fosse possibile che il desiderio e la legge potessero avere lo stesso oggetto. Si desidera a comando, osserva, il comando istituisce contemporaneamente l’oggetto del desiderio e la sua proibizione. Lacan mostra un modo di trattare l’Edipo non come un complesso ma come un mito. Ci presenta l’Edipo come una vera e propria impasse, qualcosa che non può essere in qualche modo temporalizzato, qualcosa di insostenibile preso in quanto tale. Forse è proprio per questo che l’Edipo può essere generativo. Lacan lo presenta come un double bind, un doppio legame. Che vuol dire che il desiderio e la legge sono la stessa cosa? Non si può ritornare in quell’assoluto di soggetto in cui la legge e il desiderio sono la stessa cosa. Tutto questo può funzionare solo come una vis a tergo. Pensiamo alla scena in cui lei ha creato questo grande Altro attraverso tutta la costruzione dell’amore e dall’altro lato abbiamo l’oggetto piccolo a, lo sguardo quello che lei è andata a cercare nelle sue passeggiate, nel suo girare in tondo con la sua pulsione di guardare di essere guardata; questa scena crea ovviamente un cortocircuito. Nessuno può incontrare contemporaneamente questi due livelli. L’identità tra la legge e il desiderio è un’impasse. Lacan lascia intendere questo double bind prestando la sua voce alla ragazza.
«Non basta dire che il padre ha gettato uno sguardo irritato per comprendere come si sia potuto produrre il passaggio all’atto. Vi è lì qualcosa che dipende dal fondo stesso della relazione, dalla struttura in quanto tale […] La giovane – la cui delusione nei confronti del padre a causa della nascita del fratellino era stata il punto di svolta della sua vita – si era dunque impegnata a fare della propria castrazione di donna quello che il cavaliere fa difronte alla sua Dama, vale a dire offrirle precisamente il sacrificio delle sue prerogative virili. Cosa che, per inversione di tale sacrificio, faceva di lei il supporto di quello che manca al campo dell’Altro, ovvero la garanzia suprema del fatto che la legge è proprio il desiderio del padre, che ne siamo sicuri, che vi è una gloria del padre, un fallo assoluto, F. Indubbiamente, risentimento e vendetta sono decisivi nel rapporto di questa ragazza con il padre. Il suo risentimento e la sua vendetta, sono quella legge, quel fallo supremo. La lettera F maiuscola, è qui che la piazzo. Poiché sono stata delusa nel mio attaccamento a te, padre mio, e poiché non posso essere né la tua moglie sottomessa né il tuo oggetto, è Lei che sarà la mia Dama, e io sono colui che sostiene, che crea il rapporto idealizzato con quello che di me stessa è stato respinto, con quello che, del mio essere di donna, è insufficienza […] Ma questa scena, che aveva conquistato il pieno assenso del soggetto, perde ogni valore per la disapprovazione percepita nello sguardo del padre […] Vengono qui realizzate le due condizioni essenziali di quello che si chiama, per la precisione, passaggio all’atto. La prima è l’identificazione assoluta del soggetto con quell’a a cui si riduce. È proprio quello che accade alla giovane nel momento dell’incontro. La seconda è il confronto tra il desiderio e la legge. Qui si tratta del confronto tra il desiderio del padre, sul quale tutto nella sua condotta è costruito, e la legge che si presentifica nello sguardo del padre. È per questo che ella si sente definitivamente identificata con a e allo stesso tempo, rigettata, gettata fuori dalla scena. È questo solo il lasciar cadere, il lasciarsi cadere può realizzarlo» [21].
La legge e il desiderio sono la stessa cosa è una tesi di Lacan che fa eco al non c’è desiderio senza la legge di San Paolo che nel Seminario VII L’etica della psicoanalisi pone il nesso ineludibile tra la legge e la Cosa e dove lo psicoanalista francese opera quella che lui chiama una «piccola modifica – Cosa al posto di peccato» [22]. Così s’interroga: «La legge è forse la Cosa? Questo no. Tuttavia io non ho potuto prendere conoscenza della Cosa se non attraverso la Legge» [23]. Non c’è desiderio senza la legge è come saltare un ostacolo senza abbattere l’asta del tabù, per elevarsi nel confronto con il limite. Non è in questo enunciato la giovane omosessuale. Il passaggio all’atto è un evento che la conduce ad accostare la legge. Nella fase dell’acting out gioca nella sua costruzione dell’amore a presentificare F, la legge, e nello stesso tempo gira intorno a questo oggetto che non dovrebbe rappresentarsi ma che lei si rappresenta: si guarda guardata nel momento che è in gioco la pulsione. Nel momento in cui il padre la guarda con questo sguardo furioso è come se assumesse su di sé questo sguardo, perché il padre avrebbe dovuta guardarla nella sua mostrazione con uno sguardo vuoto come avrebbe guardato un analista. Questo non può che disgiungere F dall’oggetto piccolo a. È come se vi fosse qui uno scambiatore. Il padre assume su di sé questo F e lei non può che subitaneamente – dice Lacan – ridursi a questo oggetto piccolo a. Nella rappresentazione, nell’acting out è come se ci fosse ancora la possibilità di raccontarsi, la possibilità di uno spettacolo che però è uno spettacolo senza pubblico: una rêverie. Nell’acting-out c’è questa legge-desiderio che è una cosa sola. La ragazza passeggiava sotto le finestre dell’ufficio del padre mettendo in atto un comportamento che sfuggiva alla sua intenzionalità.
Quindi nella fase dell’acting-out cerca di mantenere una posizione desiderante: malgrado l’indifferenza della madre e l’interdizione del padre cerca di sapere se le si accorda o no di essere arrivata all’età di poter desiderare anche senza il loro accordo. È proprio l’impossibilità a far coesistere la posizione inconscia (quella dei sogni) e la sfida al padre (i giri della pulsione) che avrà come conseguenza l’esclusione dalla scena e il passaggio all’atto.
Nell’incontro con il padre la questione della sua omosessualità è pubblica, diventa pubblica; e poiché il suo desiderio non si è determinato come una vis a tergo ma è stato quell’assoluto di soggetto non può che ritrovarsi soltanto a. Se fosse svenuta in risposta alla scenata del padre o si fosse vergognata, ci sarebbe stata un’eclissi di soggetto, uno svanimento. Ciò non accade perché è ridotta a a, è ridotta a uno stato oggettuale. Non ha più discorso. Non a caso si utilizza l’espressione “mi sono buttato” quando non si sa cosa dire. La giovane omosessuale è come se toccasse la verità del double bind edipico. Il desiderio e la legge stanno alle spalle dei soggetti. Desiderare a comando è qualcosa che funziona come una vis a tergo. Mentre lei incrocia questa questione come una vis a fronte e cade giù. Lacan attraverso l’oggetto piccolo a e la pulsione ci dà una nuova lettura della perversione che non è nei termini di una smentita della castrazione. E se fosse un fallimento nel declinare la propria condizione femminile omosessuale non solo per la riprovazione del padre ma anche per l’abbandono in quel momento dell’amata amica? Il soggetto buttato fuori dalla scena «fa ritorno all’esclusione fondamentale in cui esso sente di trovarsi», ci ricorda Lacan. Lei è buttata fuori dal discorso, di cui l’amore era il discorso per eccellenza. Lei si è raccordata al grande Altro, non si è identificata a degli uomini di paglia come Dora, lei direttamente ha puntato al grande Altro. Sceglie l’amore come discorso antiesclusivo, come discorso che antagonizza la sua esclusione. Sceglie di parlare d’amore, sceglie di parlare di femminilità come fanno le Preziose. L’atto del niederkommen è la verità dell’atto che smentisce una costruzione inconscia. La costruzione dell’amore si dà per lei in una sorta di narcisismo della mancanza, e come per Antigone vi è un tentativo d’edificarsi sulla mancanza, una forma singolare di narcisismo della mancanza. Ma il suo discorso cade sotto i colpi di questo sguardo che esclude del padre e produce un’ammissione attraverso un atto di verità: non c’è possibilità di fare i conti con questo reale della mancanza. Come osserva Gaetano Romagnuolo [24]: «Il reale è ciò che smentisce nella sua verità. Questo tuo sguardo mi dice la verità che io confermo con l’atto». L’atto ha così per lei un valore confermativo, declinandosi come modo di dire la verità.
- [1] AA.VV., Le cas de la jeune homosexuelle vu par Freud, Lacan … et quelques autres, Le discours psychanalytique, Éditions de l’Association Lacanienne Internationale, Paris, 2002.
- [2] J. Lacan, Il Seminario Libro XX, Ancora (1972-1973), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino, 2011 p. 79.
- [3] Lacan segnala l’omofonia di âmoureuses con amoureuses, innamorate.
- [4] Ibidem
- [5] S. Freud, Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile (1920), in Id., Opere, vol. 9, Boringhieri, Torino 1986, pp.139-166.
- [6] Oscar Wilde scontò due anni di lavori forzati accusato dalla regina Vittoria di sodomia. Alan Turing, il matematico che inventò la macchina Enigma alla base dei computer moderni, e che consentì la decifrazione dei codici tedeschi che facilitò la vittoria della seconda guerra mondiale da parte degli alleati, fu arrestato e posto difronte alla scelta se accettare le iniezioni di estrogeni o il carcere. Accettò la prima ingiunzione e si tolse la vita da lì a poco.
- [7] Marie Hélène Brousse, L’homosexualité féminine au pluriel ou Quand les hystériques se passent de leurs hommes de paille, in Elles ont choisi, Les homosexualités féminines, ouvrage collectif dirigé par Stella Harrison, Éditions Michèle, Paris, 2013.
- [8] J. Lacan, Lo stordito, in Altri scritti, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino, 2013 p. 464.
- [9] Conferenza Ali in Italia, Sappiamo ancora cosa vuole una donna?, Roma 26 ottobre 2019, inedito, mia trascrizione.
- [10] J. Lacan, Il Seminario Libro IV, La relazione d’oggetto (1956-1957), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino, 2007 p. 105.
- [11] Ivi, pp. 106-107.
- [12] J. Lacan, Il Seminario Libro VII, L’etica della psicoanalisi (1959-1960), a cura di G. B. Contri, Einaudi, Torino, 1994 p. 190.
- [13] Nel Seminario Lacan si serve di esempi tratti dall’arte: le scatole di fiammiferi di Prévert, le grotte di Altamira, le mele di Cézanne.
- [14] J. Lacan, Il Seminario Libro VII, L’etica della psicoanalisi (1959-1960), cit. p.151.
- [15] In realtà il termine provenzale giusto è Mi Dons.
- [16] J. Lacan, Il Seminario Libro X, L’angoscia (1963-1963), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino, 2007, p. 119.
- [17] Freud coglie il duplice significato del verbo niederkommen che in tedesco è cadere, venire giù ma anche partorire.
- [18] Jean Allouch, Freud embringué dans l’homosexualité féminine, Cliniques méditerranéennes, 65-, éditions érès, Toulouse, 2002, p.105-129.
- [19] La distinzione tra scena e mondo è introdotta da Lacan nel seminario a partire da Levi-Strauss.
- [20] J. Lacan, Il Seminario Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino, 2003, p. 202.
- [21] J. Lacan, Il Seminario Libro X, L’angoscia (1963-1963), cit. pp.120-121.
- [22] J. Lacan, Il Seminario Libro VII, L’etica della psicoanalisi (1959-1960), cit. p.105.
- [23] Ibidem
- [24] Intervento Laboratorio Lacaniano di Napoli 18 dicembre 2019, mia trascrizione.
Ultimi articoli
Nessun risultato
La pagina richiesta non è stata trovata. Affina la tua ricerca, o utilizza la barra di navigazione qui sopra per trovare il post.
I seminari
Ethical and Aesthetic Explorations of Systemic Practice
Ethical and Aesthetic Explorations of Systemic Practice New Critical ReflectionsAutore: Pietro Barbetta, Maria Esther Cavagnis, Inga-Britt Krause, Umberta TelfenerEditore: Routledge Anno: 2022Pagine: 172In Ethical and Aesthetic Explorations of Systemic Practice, the...
Un commento al libro di Eleonora De Nardis “Sei mia”
È un libro sulla violenza psicologica e fisica di un uomo nei confronti di una donna, che definisce “sua”.
Dietro i fatti ci sono i meccanismi psichici che agiscono sugli attori e questo è l’aspetto su cui più ci interroghiamo nei casi di violenza.
Qual è il meccanismo psicologico che fa interagire i due protagonisti e che sostiene tutta la vicenda?
Come dice ad un certo punto una terapeuta consultata da Elisabetta, la protagonista, la donna abusata, ci vuole una certa complicità da parte della vittima per permettere violenze reiterate, denunce fatte e poi ritirate così come l’esporsi al rischio di essere ammazzata.
Su questa “complicità” voglio soffermarmi. La metto tra virgolette perché in genere è definito “complice” il rapporto tra un uomo violento e una donna che si lascia sottomettere. Forse però il termine non è appropriato perché la complicità sottintende anche un obiettivo comune che invece, in questo caso, è del tutto assente.
Il Disagio della civiltà dal mantello di san Martino a La dolce vita
Una riflessione dal capitolo XIV del seminario di Lacan L’etica della psicanalisi.
Abstract: L’episodio evocato da Lacan dell’incontro tra San Martino e il mendicante ci offre uno spunto di riflessione e di lavoro, la possibilità di un non incontro tra il bene presunto (in questo caso di san Martino) e quello di un altro (il mendicante).
Intervento al terzo incontro di ALI in Italia su L’Etica della psicanalisi
Il punto di partenza per questa riflessione è la citazione presente nel capitolo XIV del Seminario VII L’Etica della psicoanalisi in cui Lacan parla dell’amore per il prossimo e più precisamente dell’episodio di san Martino (pag. 219 e seguenti).
Ricordiamo brevemente l’episodio di san Martino: un giorno, quando Martino è ancora un soldato romano, incontra un povero. Senza pensarci, taglia con la spada il proprio mantello e lo offre al mendicante; immediatamente il sole si alza in cielo e la temperatura si scalda. La notte successiva, Martino ha una visione: Gesù gli fa visita e gli riporta il pezzo mancante del suo mantello. Al risveglio, il mantello è nuovamente intatto; a seguito di questo episodio, Martino decide di farsi battezzare, di lasciare l’esercito e di prendere i voti (e diventerà vescovo nell’anno 372 a Tours).
Questo episodio ci fa riflettere su due aspetti: il primo, più vicino al piano etico, evidenzia una divisione tra il nostro (presunto) bene e il bene dell’altro a cui non è allineato. Lacan pone la questione di come queste due posizioni potrebbero non incontrarsi mai; ci suggerisce, inoltre, che il povero potesse forse mendicare qualcos’altro: forse voleva che san Martino lo uccidesse o anche che lo fottesse, e quindi non volesse necessariamente essere aiutato come san Martino ipotizzava. Ecco qui un primo spunto di riflessione e di lavoro, la possibilità di un non incontro tra il bene presunto (in questo caso di san Martino) e quello di un altro (il mendicante).
…
Psicanalisti a confronto con… il coronavirus
Alcuni psicanalisti comunicano le loro riflessioni sull’esperienza con il reale del covid 19.