Lacan lettore di Joyce

Autore: Muriel Drazien
Editore: Portaparole
Collezione: Piccoli Saggi
Anno: 2016
Pagine: 144

Muriel Drazien

L’arte di Joyce è la scrittura, la pratica della lettera, la lettera è il materiale, la materia attraverso cui forgerà il veicolo per compiere la sua “missione”: quella di sostenere un padre carente e, attraverso la sua arte, farlo sussistere ed emergere.

Lacan lettore di Joyce.
Il seminario Sinthome (1975-76) di Jacques Lacan rappresenta l’ultimo momento di un lungo insegnamento, in cui viene proposta una concezione rivoluzionare di molti punti che non riguardano solo la clinica ma anche il rapporto della psicoanalisi con l’arte, in modo particolare la letteratura.
L’uso che fa joyce della lingua inglese disarticolandola rende a tratti il suo testo respingente, per una caratteristica propria della sua scrittura, che orienta da un lato verso la vocalizzazione e la simbolizzazione del godimento, dall’altro verso la ricerca dei significanti che rappresentano il soggetto. Lacan a tal proposito afferma che questo avviene perché Joyce è “disabbonato dall’inconscio”.
Per questo motivo la posizione dell’analista nella clinica si trova modificata: la psicanalisi non consiste nell’interpretare allora l’inconscio, continua Lacan, ma nel cogliere un “lembo del reale”. Reale che è la risposta sintomatica di Lacan all’invenzione dell’inconscio da parte di Freud.
Muriel Drazien, dopo aver seguito il seminario di Lacan a Parigi, restituisce al termine di due anni di insegnamento presso il Laboratorio Freudiano di Roa, un’avventurosa esplorazione di Joyce per Lacan, senza scorciatoie, in un volume scandito dal sintomo in chiave moderna e dall’eresia della psicanalisi.

Carlo Albarello.

 

 

 

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Una riflessione dal capitolo XIV del seminario di Lacan L’etica della psicanalisi.

Abstract: L’episodio evocato da Lacan dell’incontro tra San Martino e il mendicante ci offre uno spunto di riflessione e di lavoro, la possibilità di un non incontro tra il bene presunto (in questo caso di san Martino) e quello di un altro (il mendicante).

Intervento al terzo incontro di ALI in Italia su L’Etica della psicanalisi

Il punto di partenza per questa riflessione è la citazione presente nel capitolo XIV del Seminario VII L’Etica della psicoanalisi in cui Lacan parla dell’amore per il prossimo e più precisamente dell’episodio di san Martino (pag. 219 e seguenti).

​Ricordiamo brevemente l’episodio di san Martino: un giorno, quando Martino è ancora un soldato romano, incontra un povero. Senza pensarci, taglia con la spada il proprio mantello e lo offre al mendicante; immediatamente il sole si alza in cielo e la temperatura si scalda. La notte successiva, Martino ha una visione: Gesù gli fa visita e gli riporta il pezzo mancante del suo mantello. Al risveglio, il mantello è nuovamente intatto; a seguito di questo episodio, Martino decide di farsi battezzare, di lasciare l’esercito e di prendere i voti (e diventerà vescovo nell’anno 372 a Tours).

Questo episodio ci fa riflettere su due aspetti: il primo, più vicino al piano etico, evidenzia una divisione tra il nostro (presunto) bene e il bene dell’altro a cui non è allineato. Lacan pone la questione di come queste due posizioni potrebbero non incontrarsi mai; ci suggerisce, inoltre, che il povero potesse forse mendicare qualcos’altro: forse voleva che san Martino lo uccidesse o anche che lo fottesse, e quindi non volesse necessariamente essere aiutato come san Martino ipotizzava. Ecco qui un primo spunto di riflessione e di lavoro, la possibilità di un non incontro tra il bene presunto (in questo caso di san Martino) e quello di un altro (il mendicante).